Associazione Culturale
Il Frentano d’Oro

Remo Rapino


IL FRENTANO D’ORO
Edizione XXII al Prof. REMO RAPINO, 9 Ottobre 2021.

Il Prof. Remo Rapino con il “suo Liborio”, Premio Campiello 2020

RASSEGNA STAMPA
https://www.chietitoday.it/attualita/frentano-d-oro-2021-vincitore-scrittore-remo-rapino.html
https://www.ilcentro.it/chieti/il-frentano-d-oro-va-allo-scrittore-remo-rapino-1.2699075
https://www.youtube.com/watch?v=0jm7ncSvoZQ
https://www.notiziedabruzzo.it/spettacolo-abruzzo/il-frentano-doro-2021-allo-scrittore-lancianese-remo-rapino.html
https://www.zonalocale.it/2021/09/20/va-a-remo-rapino-il-frentano-d-oro-2021/
http://www.tgmax.it/lanciano-xxii-frentano-doro-a-remo-rapino-cerimonia-di-premiazione-il-9-ottobre-al-fenaroli/
https://www.vastoweb.com/gallery/1063727/photos?page=7
https://www.google.com/search?client=firefox-b-d&sa=N&q=Remo+Rapino+Frentano+d%27oro+2021&tbm=isch&source=univ&fir=FkdLxFhKhkCCiM%252CJnAaW5iLBGChwM%252C_%253B1qKEnQ3b0PyOGM%252CT8ay1B4JhNdmzM%252C_%253BmKxsl5KugXHm5M%252CJnAaW5iLBGChwM%252C_%253BmeuEsJ3z2WNYyM%252C5PuFqb-0vYViYM%252C_%253BCLCcDvqd-FaXdM%252C-fLC8kySQ5M1AM%252C_%253B9odxk4D9fA165M%252CTakZ4k-E8LDqfM%252C_%253BJaGFHxhO9J9NbM%252CxlrM_yrCsQiQbM%252C_%253BEquUWNfOU3IDTM%252Cxz2fO2hlLDEdUM%252C_%253BURAFV0NWpTyzLM%252Cpj6sgChVFrk1UM%252C_%253BbKP7XJEaN4QwYM%252CtbMJRB2_uVcZHM%252C_&usg=AI4_-kSjpc0kFONGbpb6yAcZPZKNYKbe-w&ved=2ahUKEwjPhvK715iAAxVxR_EDHd__Aos4ChCMmQR6BAggEAI&biw=1600&bih=1089&dpr=0.8
RASSEGNA STAMPA post-premiazione.
https://abruzzoweb.it/frentano-doro-2021-a-remo-rapino-dedico-premio-a-mio-padre-amico-che-non-posso-dimenticare/
https://www.espressione24.it/il-frentano-doro-2021-allo-scrittore-remo-rapino-ieri-a-lanciano-la-cerimonia-di-premiazione/

RIFLESSIONI del nostro Giornalista Mario GIANCRISTOFARO.
Lo Storico Domenico Romanelli e le “ricompense pubbliche”.
Compie quest’anno ventitre anni di vita, il Premio “Il Frentano d’Oro”, ma il suo significato autentico affonda nella storia secolare della gente frentana. Ecco, si dirà, il solito campanilismo duro a morire. E invece no: è tutto scritto e codificato, nero su bianco.
“Scoverte Patrie, di città distrutte, di altre antichità nella regione frentana”
di uno storico geniale e rigoroso del Regno di Napoli, l’abate Domenico Romanelli. Il volume, che si può trovare anche presso la Biblioteca Comunale “Raffaele Liberatore” di Lanciano, è stato stampato a Napoli nel 1805.
Scrive Romanelli:
Erano assai prodighi i nostri Frentani e nel dispensar premi e nell’accordare onori ad uomini meritevoli, o mentre vivevano o dopo la morte, per accendere il genio ed animare alle nobili imprese”.
Insomma, le persone che si distinguevano in attività elevate e di particolare interesse, ottenevano quelle che il Romanelli chiama “ricompense pubbliche”, e in questo modo si voleva anche spingere i più giovani verso le “nobili imprese”. Sembra di leggere proprio le motivazioni che sono alla base del premio “Il Frentano d’Oro”.
Non sappiamo se il compianto e dinamico organizzatore del Premio, Ennio De Benedictis, si sia ispirato proprio alla citazione del Romanelli per istituire il “Frentano d’Oro”: certo è che la manifestazione ne ricalca gli ideali più genuini e significativi.
Potrebbe sembrare esagerato scomodare la storia e lo storico Romanelli per un Premio, sia pure prestigioso come “Il Frentano d’Oro”. Ma se provate a scorrere l’Albo d’Oro del Premio, e riflettete sulle personalità che, negli anni, sono state premiate, non avrete difficoltà a convenire come davvero il “Frentano d’Oro” possa accostarsi e ricondursi a quelle “ricompense pubbliche” di cui parla il Romanelli.

L’Uomo vitruviano, del M° Mario Ceroli, logo del Premio, 1998

Mario Giancristofaro: il XXII Frentano d’Oro, Edizione 2021,
al Prof. REMO RAPINO.
Poeta e narratore, Remo Rapino ha la straordinaria capacità di coniugare i tanti risvolti della realtà con le intuizioni che attingono alla sua specifica sensibilità di intellettuale a cui il mondo, non casualmente, gira intorno.
Con lui, il Frentano d‘Oro torna alla Letteratura cogliendo plasticamente il proprio significato più autentico: rendere onore e merito a un personaggio della Frentania che, in Italia e nel mondo, abbia dato lustro e notorietà alla propria Terra di origine.
Dai primi versi degli anni ’90, fino al prestigioso Premio Campiello del 2020, il percorso di Rapino ha sempre saputo toccare le corde dei lettori, per la profondità dei sentimenti e quel saper raccontare le tante sfaccettature che accompagnano la storia di persone e avvenimenti. E proprio Liborio, il protagonista del romanzo del Premio Campiello, strambo, bislacco e visionario, che riscatta l’immagine del folle di paese, liberandolo dagli stereotipi e dai luoghi comuni, restituendogli una dignità esistenziale, storica e sociale, può essere l’emblema di una “lancianesità” in grado di riscattarsi, oltre le apparenze.
Rapino con il suo Liborio ha esaltato la Terra d’origine e il suo idioma che, attraverso modi di dire, motti e slang, diviene interferenza linguistica nella parlata “liboriana” in grado di non pregiudicare, anzi di esaltare e rafforzare, attraverso l’icasticità vernacolare, la comprensibilità e la resa del testo.

La vittoria del Campiello, con il riconoscimento compatto della Critica, e il successo tra i lettori dell’ultimo romanzo, hanno di certo contribuito in modo determinante a rafforzare il prestigio e la visibilità della Frentania, ma non sono che l’acme di una lunga carriera letteraria, vissuta da Rapino, a partire dagli anni giovanili, nella doppia veste di poeta e di narratore, durante la quale aveva già collezionato innumerevoli e lusinghieri riconoscimenti, portando in alto il nome di Lanciano nel globale panorama letterario nazionale, e non solo.
Lanciano, 9 ottobre 2021

PRESENTAZIONE ed INTERVISTA di Mario GIANCRISTOFARO al Prof. Remo RAPINO.Siamo tutti un po’ Liborio”.
Torna il Premio “Il Frentano d’Oro”, dopo due anni di interruzione, causa Covid. Purtroppo, non c’è l’ideatore della manifestazione, il compianto Presidente Ennio De Benedictis, che ne è stato anche l’infaticabile animatore e organizzatore per oltre vent’anni. E proprio nel ricordo del suo Presidente, il Comitato Direttivo dell’Associazione ha ritenuto di dare vita all’edizione di quest’anno, la 22esima, del 9 ottobre 2021.
Tenendo fede alla volontà del Presidente De Benedictis, e all’unanimità di tutti i componenti del Direttivo, il Frentano d’oro 2021 viene assegnato al Professor Remo Rapino, poeta e scrittore, vincitore del prestigioso Premio Campiello nel 2020, che ha portato Rapino e la sua città che tanto ama, Lanciano, alla ribalta nazionale.

Remo Rapino con il giornalista Mario Giancristofaro, 20 settembre 2021

Si affollano i ricordi. Ne cito uno che ci dà, esattamente, il ritratto di Rapino e dei suoi pensieri. Era l’11 settembre 2020, lo ricordo bene perché ero presente, quando Rapino, fresco vincitore del Campiello, col romanzo “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” (minimum fax, Editore), di ritorno da Venezia, affrontò la prima Conferenza stampa nella sua città, nella Sala Benito Lanci dell’ex Casa di Conversazione, con i Giornalisti di Lanciano, presente il Sindaco Mario Pupillo, con la fascia tricolore e l’Assessore alla Cultura Marusca Miscia.
Rapino si guardò attorno e disse:
«Certo, lo splendido scenario di Piazza San Marco, a Venezia; la voce suadente di Cristina Parodi che pronuncia il tuo nome e annuncia che tu, proprio tu, hai vinto la 58esima edizione del Premio Campiello; le tivvù nazionali che girano i microfoni verso di te; le grandi firme dei giornali che cominciano a tempestarti di domande, sono cose che non si dimenticano, che lasciano il segno. Però, l’abbraccio della tua città, la mitica Lanciano dalla storia millenaria, l’affetto della tua gente, che ti ferma per strada e ti ricorda frammenti della tua vita e della tua comunità, credetemi è altra storia, roba che ti va direttamente al cuore, che ti commuove, che ti fa piangere. Mi dispiace solo che alla festa mancava mio padre, proprio lui da cui ho imparato tante di quelle cose che ho raccontato nel romanzo. Un romanzo dedicato ai cosiddetti vinti, agli emarginati, alle “coccematte”, che magari trovano difficoltà ad esprimersi, ma che, ad ascoltarli bene, dicono grandi verità, e raccontano il vero, quello che davvero succede nella realtà, in un piccolo centro di provincia, come Lanciano, oppure in una grande metropoli.
Perché ricordo quella Conferenza stampa? Semplice. Perché vi si trovano le parole che bastano da sole a rappresentare la figura di Remo Rapino. Il suo legame profondo con la città, la sua cultura, non autorefenziale ma aperta alla comunità in cui vive, i legami con la famiglia col ricordo del compianto papà Beniamino, la sua visione inclusiva del vivere civile, l’attenzione verso i meno protetti, la disponibilità all’ascolto di quelli che sembrano raccontare cose bizzarre e che, invece, dicono verità assolute.
Tutto questo, e tanto altro, Rapino lo racconta dalle sue prime produzioni letterarie fino all’exploit del Premio Campiello vinto nel 2020. Un successo che non è arrivato a caso, ma è maturato lentamente, in modo inarrestabile, e che ha portato il nome di Lanciano e dell’intera Frentania all’attenzione del mondo letterario nazionale. E Liborio, il “cocciamatte” del romanzo di Rapino, è diventato un personaggio popolare in tutta Italia.
L’intervista che segue, non è proprio una intervista canonica, con il giornalista armato di taccuino, che fa le domande e l’intervistato che risponde nelle forme più adatte. No, l’intervista si è fatta da sola, io ho semplicemente assemblato parole e frasi dette qua e là, sparse tra fogli di giornali, dichiarazioni a radio e tivvù, tra una confidenza al bar e una riflessione a mezza bocca passeggiando per il Corso. Insomma, un po’ alla Liborio.
Remo Rapino, ma che libro è il suo?

«E come te lo spiego! Però mi sono accorto, grazie ai lettori, di aver scritto un libro d’amore. E per amore intendo attenzione per la diversità, per gli irregolari, per gli emarginati. Ecco, Liborio era tutte queste cose messe assieme».
Come dice la Giuria dei Letterati «Liborio è un protagonista stralunato, una via di mezzo tra il classico scemo del villaggio e il pazzo illuminato, in grado di raccontare un pezzo di storia italiana attraverso le sue vicissitudini».

Ma è un personaggio realmente esistito? «Di personaggi come Liborio – risponde Rapino – ce ne sono molti, basta saperli ascoltare e volergli bene. Liborio e tanti altri, possono essere, più o meno, individuabili, ma le storie che raccontano sono realmente avvenute. Però non è importante l’identità. L’importante sono i fatti e le persone in un contesto reale, da cui ricavare uno spaccato di storia che, nel caso del mio romanzo, è lungo quasi un secolo».
Cos’è stato il Campiello per Remo Rapino?
«È stato per me un regalo inatteso, inaspettato, come quando ti bussano alla porta per consegnarti un dono che non aspettavi. Vedete, però: io non ricordo solo la splendida piazza San Marco, le congratulazioni dei colleghi scrittori, la premiazione. Ricordo anche i complimenti dei camerieri dei ristoranti di Venezia e dell’albergo che mi ospitava. Anche in questi casi ho provato una grande commozione».
E cos’è per Remo Rapino il Frentano d’Oro?
«Un altro regalo inatteso, ancora più bello e gratificante perché arriva dalla mia gente e che non pensavo di meritare».
Come concluderebbe?
«Che siamo tutti un po’ Liborio».

TESTIMONIANZE: Fabio Stassi, Giuseppe Rosato, Luigi (Gino) De Innocentiis “Scheggia”, Silvino D’Ercole, Franco Di Nenno, Dino Pagliari.

Fabio Stassi (editor e scrittore): Coincidenze felici del Frentano d’Oro 2021.
Ho conosciuto Remo Rapino il 3 settembre del 2010 nel Castello aragonese di Otranto. La sera piovve così forte che sembrava di stare a Macondo, dentro a uno dei racconti fantastici di Gabriel Garcia Márquez. Remo era lì per presentare un libro che aveva lo stesso titolo dell’installazione presente all’interno del Castello: un cortile di parole; io, una piccola enciclopedia dei personaggi di romanzo del secondo Novecento. Direi che davvero, tra noi, le parole si sono fatte subito cortile, e ponte, e riconoscimento immediato, e che sono stati proprio i personaggi di romanzo, di tutti i romanzi che avevamo amato, a benedire sin dall’inizio la promessa della nostra amicizia. Cenammo in loro compagnia, e in loro compagnia continuammo a bere e a conversare per tutta la notte, e l’indomani a fare colazione. Ogni tanto accade, tra gli esseri umani: ci si ritrova per la prima volta, seduti intorno a un tavolo, ma si ha l’impressione di essersi frequentati da sempre. Si hanno le stesse parole in bocca, le stesse idee nella testa e nel cuore, e tutto questo soltanto perché si sono letti gli stessi libri, e si è creduto negli stessi ideali, e ancora si continua a credere che si possa essere vivi e felici soltanto se lo sono anche gli altri. La Letteratura, in fondo, non è che questo vocabolario comune, una stessa concezione del mondo, e dei rapporti umani. Con me, c’era anche uno degli editori di Minimum Fax di allora, la Casa editrice che avrebbe avuto dieci anni dopo un ruolo così importante nella vita di Remo, così come l’aveva avuta, e l’ha ancora, nella mia.
La nostra amicizia è nata così, sotto il segno delle coincidenze. “Coincidenze felici”, intitolò Remo l’oggetto della prima mail che mi inviò. Ma anche commoventi. Il mese dopo mi arrivò un’altra lettera. Remo mi raccontava della perdita di suo padre, e di come avesse trascorso con lui gli ultimi giorni in Ospedale, leggendogli una storia che avevo scritto su quando il futebol aveva ancora le ali e ci si batteva contro le storture del mondo, perché lo storto del mondo, in ogni tempo e luogo, è sempre lo stesso. Alla fine, suo padre, che aveva giocato a calcio da giovane, gli aveva chiesto se quella storia era vera. Certo, gli rispose Remo, e avrebbe voluto aggiungere “come è vera questa nostra vita e vera questa morte che ci danza intorno con passi lievi.”
Poco dopo partii per un viaggio dall’altro lato della Terra, per andare a vedere la casa di Jorge Amado, e mi portai dietro le sue poesie, sull’aereo. Avevamo trovato “mille sintonie, le stesse corde, gli stessi sentieri.”
Continuammo a scriverci per anni. Come due fratelli, dalla linea di un fronte, ci ripetevamo. Io dai miei treni di pendolare, tra Viterbo e Roma, lui dalla sua periferia. Poco dopo, Remo trovò il modo di farmela visitare. Mi invitò a Lanciano due volte, una nella sua scuola, un’altra in una libreria. Che tipo di Insegnante fosse, lo sapevo già, non c’era bisogno neppure di averne la prova, eppure non dimenticherò mai l’albero che aveva costruito nell’androne della scuola insieme ai suoi ragazzi, un albero dai cui rami pendevano piccoli fogli con i versi dei poeti più grandi.
Quel giorno, mi portò a mangiare in un trabocco, sopra il mare. E lì dentro, sospesi sulle palafitte di un destino che ci avrebbe legato ancora di più, a nostra insaputa, mi parlò per la prima volta di Bonfiglio Liborio, mi disse che aveva cominciato a scrivere di lui, che la voce di quel tenero folle premeva, dentro di lui, che aveva già terminato una prima stesura. Prima di salutarci, me la affidò. Si trattava di un gran mucchio di fogli, rilegati a spirale, con la fotografia di un uomo con la barba lunga sulla prima pagina.
Iniziai a leggerli sulla corriera, durante il viaggio di ritorno. “Mò, quelli là…” L’incipit mi folgorò letteralmente. Così come mi folgorarono le prime pagine, la rievocazione della resistenza, i capitoli sulla fabbrica, sul manicomio. E a leggere continuai il giorno dopo, e quello ancora. La lingua in cui quel romanzo era stato scritto era anche la mia, era un dialetto che apparteneva a tutti i dialetti, anche a quelli della mia infanzia, e che si inseriva nella tradizione, e la rinnovava, perché l’esperienza della nostra letteratura è un’esperienza plurilinguista.
Appena terminato, ne parlai a tutti quelli che conoscevo. Editori, redattori, amici scrittori. Ma gli astri non si erano ancora allineati come dovevano. Non mi arresi; la vita di tutti i giorni, però, con le sue incombenze, prese lentamente il sopravvento e per un paio d’anni con Remo mi persi di vista.
Non seppi nulla delle sue vicissitudini di salute. E neppure che Liborio era stato il suo più fedele compagno di stanza, nei dieci mesi che trascorse in ospedale, senza neppure poter aprire una finestra. Il suo manoscritto lo conservai su una mensola della mia libreria, ma in bella vista.
Poi, le cose cambiarono di colpo. Un altro mio fratello d’elezione, un altro scrittore, fu incaricato di dirigere una collana di narrativa italiana presso una Casa editrice del nord e fu sul punto di pubblicarlo. A Remo avrei voluto fare una sorpresa, ma evitai di dargli speranze premature, perché anche lì le cose andavano per le lunghe. Alla fine non se ne fece nulla, ma nel frattempo Daniele Di Gennaro, che era riuscito a traghettare la Minimum Fax fuori da una tempesta, mi chiese di dargli una mano, e se avevo da suggerirgli qualche bravo Autore italiano inedito. I pianeti, finalmente, stavano trovando la loro posizione.
Quello di Remo fu il primo nome che proposi, nonostante non fosse propriamente un giovane esordiente e vivesse isolato ed estraneo a ogni accademia o consorteria. Tutti, in Casa editrice, se ne innamorarono e sin dal primo momento fecero tutto il possibile – e anche l’impossibile – perché il personaggio di Liborio raggiungesse i lettori che meritava.
Tutto il resto lo sapete.
A Remo ho voluto bene sin dall’inizio. Ogni volta che lo incontro, mi mette di buon umore. Come le storie, che per una volta, nella vita, hanno un bel finale. Come quei rari colpi di fortuna che non ci si stanca mai di raccontare da capo.
Le nostre incredibili coincidenze. Ma è una fortuna impastata con la vita e con l’esperienza, con la cura degli artigiani che conoscono il loro lavoro, con lo sforzo di trovare un modo giusto di stare al mondo.
Mi ricorda un proverbio che scoprii in Brasile, in quel viaggio di dieci anni fa. Gentileza gera gentileza. La gentilezza genera la gentilezza. E, a volte, come nel caso di Remo Rapino, anche la letteratura.

Giuseppe Rosato (scrittore, poeta, critico letterario). (Premio Frentano d’Oro, edizione n. XIII, del 2010, nota di S. Graziani): La fatica del sogno.
L’amicizia con Remo – subito aperta, frontale, fraterna – coincise col mio rientro a Lanciano, nel 1993, dopo la lunga parentesi pescarese. Remo venne a portarmi a casa, un suo saggio sul filosofo e poeta Michelstaedter, da poco pubblicato. Era significativa l’attenzione posta ad un Autore che si era occupato di questioni relative al valore individuale dell’esistenza, alla condizione di precarietà e incertezza dell’uomo. Il tema era già sostanza e sottinteso portante della riflessione, quindi della scrittura di Remo, poetica in prevalenza in quegli anni, testimonianza continua di fratellanza e di pietas per una categoria ben delineata di umanità.
“Sono uccelli strani senza ali / gli uomini, che si portano dentro la fatica del sogno”, mentre fronteggiano una vita difficile ma buona, se si abbia la forza e la pazienza di accettarla soffrendola, e di farsela perfino amica. Sono versi di uno dei primi libri importanti dell’amico scrittore, c’è l’impatto con enunciazioni nette, asciutte, relative ad un vissuto soggettivo che apre spazi all’emersione di realtà oggettive, presenti e pressanti senza prospettive di alibi liberatori. Interviene costantemente la memoria, non certo come rimpianto o nostalgia, ma dolente antefatto di un presente incapace di farsi migliore, e intanto il sottaciuto sgomento di pensare un futuro che incorpori lo sconvolgimento di apparati sui quali dovrebbero fondarsi le prospettive di una generazione diversa.
Un tuffo al cuore rivedersi in un tempo di azione e di speranza, un tempo che credemmo di far nostro vivendolo e soffrendolo, il tempo dell’impegno che presto fu deciso (da chi?) di togliere di scena.
Conoscere e riconoscersi nei versi, sentirsi scrivendoli parte della varietà infinita delle cose del mondo, credersi nella grande comunità degli uomini sapendosi in piena coscienza uno di loro: di qui, per Remo, senso e motivazione del gesto di scrivere versi, tanti, giorno a giorno per interrogarsi e dare notizia del tanto o del poco che si configuri in approcci di risposta.
Che il ruolo della Poesia possa farsi strumento di confronto tra sé e la vita, tra sé e gli altri, innumerevoli o pochissimi che siano, tenendo accesa la disperata speranza che l’umanità si trasformi in virtù della parola: questa la “fatica del sogno” passante dall’uno all’altro dei libri.
Collateralmente le prove di Remo narratore, racconti su racconti nei quali era come se prendessero più compiutamente corpo domande, intuizioni, scandagli ab imis, in particolare sulla vita di chi la viva nell’intento silenzio di piccole comunità disperse, esodate, ignorate. E poi l’approdo al romanzo.
Cinque anni fa Un cortile di parole, straordinaria avventura di un illetterato che finisce impensatamente per innamorarsi dei libri, tutti i libri, e raccoglierne tanti da farne straripare la casa. Un libro singolare, bello, postato su un protagonista unico: così com’è Liborio nel nuovo grande, ormai popolarissimo (e superpremiato) romanzo. Quarant’anni di vita di un paese, nel libro, vissuta di tempo in tempo su registri varianti di lavoro e di sofferenza, testimonianza incredibilmente vera di una realtà guardata con occhi liberi, puliti, disincantati: quelli che sono di Liborio.

Luigi (Gino) De Innocentiis “Scheggia”: Storie di amicizia, di bar e d’altre cose.
Il perimetro che circonda il bar Piccadilly, in piazza Garibaldi, è un luogo particolare, una specie di città dentro la città. Come ogni città ha la sua storia e le sue storie, personaggi di varia e stramba umanità, che non si sa mai come capirli fino in fondo né scovare quale anima si portano dentro, perché parlano e raccontano cose vere e cose inventate senza mai cambiare espressione del volto o il tono della voce. Remo è il professore-scrittore. Lo chiamiamo così per distinguerlo da altri professori che bazzicano da quelle parti, dove ognuno, a suo modo, è professore di qualcosa. In altri tempi, sovrano indiscusso era l’indimenticabile Giovanni Rosato, in arte Maschera di ferro. Le prime risate ce le siamo fatte sotto un cartello che il titolare del bar affisse sul calciobalilla: OGGI SI PAGA DOMANI NO. Remo disse che quella era una frase latina, ma molti preferirono attribuirla a Maschera.
Comunque noi ragazzi per giorni e giorni giocammo nella speranza di un domani finalmente gratis. Mi pare che Remo ci scrisse un racconto su quella storia (La sfida infinita), un gioco che, per molti aspetti, continua ancora nelle nostre vite. Poi venne il tempo del calcio e dei campionati amatoriali, dove la squadra del Piccadilly fu vincente per molte stagioni, nonostante la scarsità del materiale a disposizione, ma forse perché l’allenatore ero io, Gino De Innocentis, La Scheggia. Certo, con gli anni, ci siamo sparpagliati un po’, ma ogni volta che ci si rivede, praticamente ogni giorno, è come se il tempo si fosse fermato: si ricominciano le discussioni, i racconti di storie sempre uguali, tutti in cerchio a ridere per niente, a ricordare quelli che non ci sono più. Solo in quei casi si fa un po’ di silenzio.
Anni e giorni così, insomma. Ma poi arriva il Venerdì con le infinite serate consumate nel cuore antico del Malvò, nella sala Scheggia, che poi è casa mia.
Ogni venerdì un’avventura: improvvisati cuochi, arditi menù, esperimenti, fantasie gastronomiche, ma soprattutto mille discussioni, passando da un argomento all’altro, gridando di sport e di politica, di analisi esistenziali, giudizi universali. In certi momenti ci sembra di essere anche un po’ felici. In attesa di un altro venerdì. Anche sui rituali venerdì Remo ha scritto un libro (Cicale e Lumache), dove si parla della necessità della lentezza per apprezzare il buono della vita. Ne venne fuori pure uno spettacolo in piazza del Malvò, che molti ancora ricordano, con scenette, racconti, canzoni e la partecipazione del mitico gruppo I Bugiardi della notte, già il titolo tutto un programma.
Ma abbiamo fatto anche di peggio come quando, durante una cena, scattammo una profetica e scherzosa foto di gruppo con la dicitura Gruppo di intellettuali frentani con il vincitore del Premio Campiello, ma era appena giugno e il premio si sarebbe svolto solo tre mesi dopo.
Ricordo che Remo ci raccontava che, nelle giornate veneziane, era terrorizzato dal fatto che qualcuno avesse potuto vedere quella foto su Facebook. Insomma un gruppo, il nostro, dove coesistono tante anime, che a volte coincidono, a volte no, ma che stanno insieme comunque: professori, bidelli, idraulici, rappresentanti di commercio, presunti vigili urbani, pensionati e no, eterni precari, tutti legati da un affetto di altri tempi. Sarà l’età, la leggerezza, la fine delle illusioni di anni lontani.
Nessuno fa pesare titoli e privilegi. Remo, il professore-scrittore, è uno dei tanti, insomma non se la crede proprio, anche se è diventato un poco famoso e va in giro per l’Italia, con Liborio.
Tutta qui la bellezza di queste storie di amicizia, di bar e di altre cose. Per questo ci piace definirci Scheggiari (una volta facemmo pure uno striscione allo stadio). E quando succede qualcosa, di bello o di brutto, che non riusciamo a spiegarci, Remo, in poche parole e con l’accordo di tutti, dice semplicemente:
“non è niente, è la vita soltanto”.
Allora ci si sente più tranquilli. E si ricomincia. Alé!

Silvino D’Ercole (già Preside di Scuola): Remo Rapino liceale.
Al liceo eravamo un sestetto di compagni di classe affiatati e la prima immagine che mi torna in mente è la nostra disposizione in quei banchi alti, di legno pesante con le sedie incorporate. Ci posizionavamo nella fila più discosta dalla cattedra, Remo era vicino di banco del nostro compagno più bravo in latino e greco e a lui spettava il delicato compito di fare arrivare la copia delle traduzioni a noi altri quattro. A metà dell’orario assegnato si diffondeva tutto un borbottio e Remo era continuamente pungolato affinché non tardasse a trasmetterci le parti più ostiche della versione. Qualche volta lo riempivamo di improperi, perché, da quel burlone che era, si divertiva a tenerci sulle spine, ma in genere svolgeva bene il suo compito di collegamento.
Non eravamo studenti modello, almeno nel senso classico del termine: a volte ci concedevamo degli scherzi, stile Amici miei, per intenderci, non proprio consoni all’ambiente scolastico, tanto più a quello liceale, anche se il vecchio liceo, sotto i colpi della contestazione giovanile, stava perdendo la sua aura elitaria.
Per dire, a un professore molto devoto gli riservavamo una degna accoglienza tappezzando l’aula di foto non proprio castigate. Quando lui entrava, cambiava subito aspetto e con fare felpato, cercando di non dare all’occhio, strappava tutte quelle copertine di riviste patinate. E Remo non era in seconda fila nell’escogitare trovate di questo genere che era il nostro modo, forse col senno di poi un po’ sopra le righe, per alleggerire le lunghe giornate scolastiche.
Con i docenti, che avevano un approccio “nozionistico”, l’attenzione era labile; diventava, invece, intensa quando iniziavano le lezioni di Filosofia del nostro professore molto bravo. Prendevamo appunti, ne discutevamo, a casa studiavamo la Filosofia ma anche la Storia con particolare partecipazione.
Quando gli argomenti erano impegnativi, studiavamo insieme a un nostro amico, leader del movimento studentesco e particolarmente versato in filosofia; non era ammesso fare brutta figura nelle interrogazioni di queste discipline che, accanto all’Italiano, erano le preferite di Remo e che contribuirono in modo determinante alla nostra formazione e anche alla successiva scelta universitaria.

Il giovane Remo Rapino, in prima fila, ad una manifestazione anti-violenza degli anni ’80.

Remo, da liceale, amava molto la lettura, leggeva autori importanti sia classici che contemporanei, e si mostrava entusiasta di alcuni di loro: Camus, Edgar Lee Masters…; in questo era diverso da alcuni nostri amici che, secondo lo spirito dei tempi, si concentravano sui testi di natura politica, Marx e Gramsci su tutti.
Amava allo stesso modo la scrittura, era costantemente alla ricerca di un suo stile personale già da allora; durante i famosi temi d’italiano, oggi vituperati, dava il meglio di sé, riuscendo ad essere originale e ottenendo buone valutazioni.
Erano i tempi della contestazione giovanile: a Lanciano il movimento studentesco era molto attivo e vivace, impegnato a rinnovare l’istituzione scolastica, a garantire il diritto allo studio, a sostenere la lotta delle tabacchine (“operai, studenti uniti nella lotta”), a testimoniare contro i rigurgiti fascisti che in città si facevano sentire con episodi violenti. Noi tutti, da studenti impegnati, ci sentivamo partecipi di questo clima e dedicavamo molto del nostro tempo alla vita politica.
Quante assemblee, quante interminabili discussioni, quante manifestazioni! Remo era tra noi con intelligenza e originalità ma non aspirava ad assurgere al ruolo di leader; non era coinvolto totalmente, riusciva a ritagliarsi lo spazio per coltivare le sue passioni: la lettura, la musica, il calcio.
Aspirava a diventare un buon calciatore, era apprezzabile la sua passione ma i fondamentali non erano granché promettenti. Per un periodo lo abbiamo inserito nella squadra di Rocca San Giovanni e il suo ingresso in campo veniva salutato, come si addice a un oriundo, da un’ovazione dal non folto pubblico.
Anche dopo il liceo siamo rimasti in contatto. Lui si era iscritto alla Facoltà di Storia e Filosofia a Bologna, io in quel di Chieti, dove poco tempo dopo si è trasferito, così le nostre strade sono tornate a incontrarsi. Esame dopo esame inanellava sempre il massimo dei voti nelle discipline che gli risultavano congegnali e abbiamo festeggiato sobriamente il 110 con lode della sua laurea, accolto con la modestia, con quel prendersi mai troppo sul serio, che lo hanno sempre contraddistinto.
La nostra amicizia è durata nel tempo, non ci frequentiamo assiduamente ma resta un’intesa profonda, perché coltiviamo valori comuni e perché ognuno di noi sa che può contare sull’altro.

Franco Di Nenno (Presidente Associazione Culturale “Eraldo Miscia”: Franco Di Nenno Presidente Associazione culturale “Eraldo Miscia”: Noi e Remo Rapino scrittore.
Ho conosciuto Remo Rapino qualche decennio fa e siamo subito diventati amici, sia per la professione di docenti (Remo storia e filosofia, io lettere), sia per l’interesse rivolto con avvertita sensibilità intellettuale alla lettura, alla scrittura e al mondo dell’arte.
Un’altra componente che ha reso i legami amicali ancor più consistenti è stata la ulteriore importante scoperta della nostra passione per il calcio che ci ha visto avversari in differenti compagini di campionati amatoriali. Per fortuna di ambedue si è formato un triangolo culturale con la conoscenza di uno studente-lettore polacco alla “stranieri” di Perugia, residente a Chieti, ex arbitro di calcio e tesserato all’A.I.A. provinciale, appassionato di lettere ed arte: ormai le esperienze erano di levatura internazionale!
In un primo periodo, di Remo sono venuti alla luce delle opere in versi e in prosa che gli hanno attribuito preparazione e creatività e guadagnato consensi e riconoscimenti da parte di lettori, autorevoli critici e scrittori. Alcuni di questi incontrati direttamente come Giuseppe Cassieri, Vincenzo Consolo, Luciano Luisi, Claudio Magris, Roberto Pazzi, Giulia Alberico, Edith Bruck, Giuseppe Rosato e tanti altri illustri personaggi presenti a Lanciano in qualità di Autori, o facenti parte della Giuria del “Premio Eraldo Miscia per racconti inediti” a cura dell’Associazione culturale intitolata all’amatissimo e mai dimenticato Eraldo Miscia, scrittore, critico d’arte e giornalista lancianese scomparso nel 1983.
Negli anni a cavallo tra ‘900 e 2000 le opere di R. Rapino hanno varcato i confini provinciali e regionali con motivata attenzione e indirizzato l’interesse dello scrittore sempre più verso la creazione in prosa, senza comunque abbandonare quella in versi connotata, tra l’altro, da immagini e spunti di notevoli profondità e originalità.
Varcata la soglia del 2° millennio, che noi abbiamo definito come quella della maturità dello scrittore, R. Rapino ha cominciato a lavorare attorno ad un “progetto romanzo” di cui siamo venuti a conoscenza, grazie agli sviluppi iniziali in forma di racconto, dietro il timido tentativo dell’Autore di far conoscere la sua opera inedita, la spinta di amici sinceri e consapevoli del valore dell’opera e soprattutto dell’interesse manifestato degli addetti ai lavori della Casa editrice “MINIMUM FAX”, l’opera è letta con entusiasmo crescente.
Dopo vari contatti con l’autore la “MINIMUM FAX”, nella convinzione più netta, giunge alla pubblicazione e distribuzione del romanzo e alla presentazione delle varie più importanti giurie dei premi letterari ed internazionali. La storia dell’avventura del testo e del suo autore è nota ormai a tutti per averne dato ampio risalto i mezzi di comunicazione di massa.
Con la notizia che lettori e critici hanno atteso con trepidazione, il premio Campiello 2020 per la narrativa è assegnato all’opera di Remo Rapino “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” Edit. Minimum Fax, 2020.
In conclusione, parafrasando le finalità delle olimpiadi di Tokio recentemente concluse, siamo sempre più convinti di assegnare la medaglia d’oro al valore culturale a Remo Rapino, con riconoscenza sincera e con l’augurio che possa continuare a scrivere per noi e per quanti possano trarre dalle sue storie delle risposte ai misteri, alle realtà, alle favole della vita.

Remo Rapino e la sua passione calcistica.

Dino Pagliari (allenatore di calcio): Remo Tusitale, il Professore (e centrocampista mancino).
Alcuni anni fa, allenavo la squadra di serie C del campionato di calcio professionistico a Lanciano, e venni invitato alla presentazione di un libro. O meglio, di un fotolibro sui calciatori di un torneo amatoriale. Come sempre, per abitudine professionale, arrivai quindici venti minuti prima, ed ero lì nel salone, che guardavo come fosse arredato lo spazio circostante, quando si avvicina un signore di media statura e baffi affumicati, e si presenta: piacere Remo Rapino. Conosceva il mio passato di calciatore e quello – più recente – di allenatore, mestiere che, come detto, svolgevo in città in quel momento.
Iniziò a raccontarmi la storia della sua esperienza come calciatore professionista nella Pistoiese, della convivenza con Frustalupi e Rognoni, delle sue partite, poche a causa di un infortunio.
E il tutto, il suo racconto intendo, aveva una certa discreta coerenza.
Fin quando lo vedo puntare il dito indice, mi chiede di voltarmi per guardare un poster: era un ingrandimento fotografico di un tizio che calciava una palla leggermente alta, poco più su dell’anca. «Quello sono io!» dice. Guardai con più attenzione l’immagine e mi permisi di fare una velocissima analisi critica: «C’è un’anomalia fra il piede portante e il piede che calcia, una torsione inconsueta, non coordinata; deduco che la palla non sia stata colpita benissimo…»
Una smorfia. Ci rimase male, accusò la botta. Cercò di aggiustare la cosa, proponendo l’idea che essendo un mancino e essendo i mancini naturalmente dotati tecnicamente, non poteva aver sbagliato il colpo. Allora insisto, tenendo il punto: «la postura è sbieca, sbilanciata, e quindi resto dell’avviso che la palla sia stata colpita male». Non convinto, vuole continuare la discussione, e mi invita a cena, in un ritrovo in campagna, dove si riunisce un gruppo di suoi vecchi amici calciatori, militanti nel torneo amatoriale (dove, sono venuto a sapere, Remo giocava molto raramente da titolare).
Nel ritrovo ci mettiamo seduti e fra un piatto di baccalà e un bicchiere di rosso, iniziò a raccontarmi la storia dettagliata di tutti i presenti, dai loro soprannomi, alle loro manie fino alle capacità balistiche. Insomma costruisce storie su ognuno dei suoi colleghi calciatori.
Ci lasciamo con una battuta sugli anni ’70: mi chiese dell’importanza (calcistica, professionale) del mio esordio in serie A. Risposi che, ovviamente, fu importante, sì, ma ci sono state cose più importanti da vivere in quel periodo.
Questa risposta probabilmente gli arrivò inaspettata, lo colpì.
Qualche giorno dopo lo vedo arrivare all’Officina Fotografica di Fausto Bomba, dove stavo svolgendo un corso fotografico, con un sacchetto di plastica pieno di libri. Non sapevo che scrivesse e non sapevo neanche che insegnasse: un professore di filosofia. Remo, il professore, così infatti si presenta regalandomi le sue pubblicazioni.
La sera stessa tornai in albergo e inizio a leggere, e come faccio sempre inizio diverse cose, anche differenti fra loro, e magari non porto a termine la lettura ma avanzo passo dopo passo con tre o quattro libri insieme. E così inizio a leggere Terre rosse e terre nere, il suo Kavafis, Il cortile di parole e dentro a ogni volume ci sono storie, sempre tante storie.
Nel 1890 Robert Louis Stevenson, cagionevole di salute, si ritirò in una delle isole Samoa. Gli indigeni, abitanti del luogo, vedendolo scrivere lo soprannominano Tusitala, che vuol dire narratore di belle storie. Remo, il professore, è un Tusitala, con tutte quelle sue storie e quella “musicalità” nello scrivere. In Africa un signore ugandese, Pio Zirimu, ha coniato un termine, Oratura, cioè una fusione fra oralità e letteratura. Nel continente africano dicono che quando muore un anziano (vecchio) è come se una biblioteca prendesse fuoco.
Ecco, secondo me, le storie di Remo, il professore, hanno un taglio di Oratura. Scrive le sue storie con una musicalità che si trasforma, secondo se sia lui a raccontarle o noi a leggerle.
La storia di Bonfiglio Liborio è semplicemente il percorso che Remo ha intrapreso tanti anni fa.
Nelle Cantate Innaturali, ci sono dentro
storie di ingiustizia
(«…quando chiedono che sono quei cumuli in piazza e rispondono sono dei morti, signore»),
storie di sfruttamento dei minatori
(«… che anche il sapore del pane sa di sangue sputato per terra»),
storie di rabbia
(«…le mani che si fanno pugni, per prendere a pugni le nuvole e tentare di fermare la morte»),
storie di crudeltà
(«…dei corpi rimangono soltanto gli occhi vuoti»).
Tante storie, ma tutte legate da una speranza, la speranza di un mondo altro, di un mondo non soltanto migliore, come lui stesso scrive:
«la speranza che saranno uomini e donne e figli che ci diranno che la terra non è cattiva e che potremo piantare ancora degli ulivi».
C’è nella sua Oratura, nella sua letteratura e oralità, una pesante condanna per ciò che gli uomini hanno costruito, ma c’è anche un grandissimo amore per tutti gli esseri viventi.
La storia di Bonfiglio Liborio è un inno d’amore per gli esclusi, i poveri, i diseredati, dà loro una voce, come sta avvenendo nell’antropologia contemporanea “…dove si parla e si ragiona sulla possibilità che contesti umani differenti costruiscano ontologie, mondi, cosmovisioni, valori e modi della conoscenza differenti, da apprendere nella loro coerenza e profondità senza pretendere di valutarli in base a un unico criterio (il nostro) o di metterli fra loro in gerarchia…”
E come dice Remo Tusitala il professore, per bocca di Liborio:
«così mo’ mi metto buono ad aspettare qua dove sto, inchiovato a questa sedia spagliata, tutta di legno storto e fracico, fuori dal mondo come se è la fine del mondo. E vediamo che deve ancora succedere…»

Sette poeti per il Montale, Antologia, Crocetti, Milano. 2001

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA.
Remo Rapino, nato a Casalanguida (Chieti) il 22/08/1951. Risiede a Lanciano, dove è stato docente di Filosofia e Storia al Liceo Classico.
Pubblicazioni:
Dissintonie, L’Autore libri, 1993, Firenze; C. Michelstaedter: l’‘asintoto il peso e l’assoluto impossibile, E. Troilo, Bomba., 1994
La vita buona, Mobydick, Faenza., 1996 Anxanavis, All’antico mercato saraceno, Treviso, 1998
Caffetteria, Mobydick, Faenza, 1998
Terre rosse Terre nere, Noubs, Chieti, 1999
Sotto la neve l’erba e altre storie, Orient-Express, Castelfrentano, 2001
Ultima lettera ai Corinzi, Book Ed., Castel Maggiore (BO), 2001
Sette poeti per il Montale, Antologia, Crocetti, Milano. 2001
Cominciamo dai salici, Crocetti Ed., Milano, 2002
La profezia di Kavafis, Mobydick, Faenza, 2003 Fubbàll, cronache costaricane, Bibliografica Castel Frentano, 2007
Un cortile di parole, romanzo, Carabba Ed., Lanciano 2006 (premio Penne-Europa- Città di Mosca)
Officina per un epistolario, Bibliografica, Castel Frentano, 2009
Cicale & lumache, appunti sparsi d’amicizia e altre lentezze, Bibliografica, Castel Frentano, 2010
Cantate inattuali, Carabba, Lanciano, 2010
I ragazzi che dicevano okay, Carabba, Lanciano, 2011
Davide cogli occhi sulla punta delle dita, Bibliografica, Castel Frentano, 2011
Il salice, il grano, la rosa (per un bambino che dor- me) Bibliografica, Castel Frentano, 2011
Esercizi di ribellione, Carabba, Lanciano, 2012 L’ultima estate, Bibliografica, Castel Frentano, 2012
Gli alberi di Milo, Bibliografica, Castel Frentano, 2013
Sopra c’era tanto cielo che anche il bosco era azzurro, Bibliografica, Castel Frentano, 2013
Fubballerie, pallonanne & arabeschi, Bibliografica, Castel Frentano, 2014
Quaderni. Storie di calcio quasi vere, Carabba, Lanciano 2015
Vite di sguincio: balenghi, sognatori, quasi eroi, Carabba, Lanciano 2017
Fuori margine, Bibliografica, Castel Frentano 2018
Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, minimum fax, Roma 2019
Per non dirla una vita, poesie facili e qualcuna difficile di Bonfiglio Liborio, Bibliografica, Castel Frentano 2021

Altri scritti su riviste e antologie, tra cui:
Il pensiero dominante, a cura di F. Loi e D6. Ron- doni, Garzanti, MI, 2001
La poesia salverà il mondo, a cura di I. Malcotti, Nuovi Mondi Media, Bologna
I racconti del Premio Eraldo Miscia, Ed. Itinerari, Lanciano
Antologia del Premio Teramo, 1959-1994
La cerchia antica, sei poeti e una città, E. Troilo Editore, Bomba, 1995
Poesia, Crocetti, Milano
Notizie di Aligi, 6 narratori abruzzesi, Carabba, Ed., Lanciano, 2009
L’anello che non tiene, Journal of Modern Italian Literature (dir. E. Livorni), Wisconsin, USA

Riconoscimenti per poesia e la narrativa:
Livorno, Ceprano, Calliope, Florenzi, Teramo, Castilenti, Petrarca, Matacotta, Pallavicino, Eraldo Miscia, Lerici, Menichini, Montale (sez..lnediti), Lectura Resana, Tocco da Casauria, Pavese, Histonium, San Domenichino, Palazzo Grosso, Orient-Express., Ragusa, Recanati, Colli del Tronto, Dario Bellezza, Mario Bebber, Roccaraso, Alceste De Lollis, Collecorvino, Caput Gauri, Sikania, Betocchi L’Inedito, Aldo Spallicci, Minturno, Premio Città di Penne-Europa (narrativa), Insula Romana, Serravalle Scrivia, Badia San Savino (Pisa).

Si ringraziano gli Sponsor dell’evento:
Il Comune di Lanciano


HONDA ITALIA, Atessa
BPER: BANCA
, Sede di Lanciano