Associazione Culturale
Il Frentano d’Oro

Donato Renzetti.


V Edizione de “Il Frentano d’Oro”, 2002
COLLEGIO dei RAGIONIERI di LANCIANO “IL FRENTANO d’ORO”.

Il M° Donato Renzetti

LANCIANO, 30 AGOSTO 2002

Premio al M° Donato Renzetti,
Direttore d’Orchestra, Nome tra i più insigni nel panorama concertistico nazionale ed internazionale.
Alla Cerimonia sono intervenuti quali Relatori: il Prof. Walter Tortoreto, Direttore dell’Istituto di Musica dell’Università degli Studi de L’Aquila ed il Prof. Piero Rattalino, Direttore artistico del Teatro Massimo di Catania.

IL FRENTANO D’ORO.
È un premio che annualmente viene assegnato a per­sona della Frentania che si è resa benemerita in ambito nazionale ed internazionale nel campo delle scienze, della cultura, dell’arte, della economia e delle professioni, dando lustro alla sua terra di origine, coniugando valori, morali e professionali con l’affermazione ed il prestigio della propria opera.
L’iniziativa è stata promossa nel Gennaio 1998 dal Collegio dei Ragionieri di Lanciano, nell’ambito delle sue attività culturali, atte a promuovere i valori etici della professione e l’immagine della categoria.

PRESENTAZIONE del Giornalista Mario Giancristofaro.
“Torno spesso a Torino di Sangro, perché il paese è un polmone verde che mi rigenera e poi perché voglio rivedere i volti e sentire le voci che hanno accompagnato la mia infanzia e la mia giovinezza”.

Il Maestro Donato Renzetti, Direttore d’Orchestra tra i più affer­mati nel mondo, è solito rispondere così a chi gli chie­de quale rapporto abbia con il suo Paese natio, coglien­do in modo mirabile i “tumulti” che si agitano nei cuori di quanti non riescono a dimenticare la propria Terra di origine, pur raggiungendo altrove le più alte vette del successo.
Certo, la Scala di Milano e l’Arena di Verona, il Regio di Parma e lo Sferisterio di Macerata, il Metropolitan di New York e l’Opéra di Parigi, come tanti altri Teatri ital­iani e stranieri, mozzano il fiato, ti lanciano verso l’immensità del cielo.
Ma la piazzetta di Torino di Sangro, nella Frentania bella e fascinosa, ti apre il cuore, ti rica­rica negli affetti più cari, ti dà certe sensazioni che non trovi da nessun’altra parte.

La Frentania attraverso oltre 1.200 anni.

È un uomo di grande talento, il Maestro Donato Renzetti. Un talento, come scrive in questa stessa pub­blicazione il Professor Walter Tortoreto, in parte posse­duta per dote naturale e in parte maturato ascoltando le musiche con le quali l’hanno nutrito, assieme al pane e al latte fresco, suo padre e i suoi zii.
È anche un uomo di grande successo, il Maestro Donato Renzetti. Personaggio stimato, ammirato e ricercato nel bel mondo luccicante della musica che conta. Studi continui e severi, concentrazione sempre al massimo perché “steccare” è proibito.
Potrebbe sem­brare una persona difficile da avvicinare, con cui parlare solo di cose “serie”. Ma provate a stargli vicino fuori dai teatri; provate a parlargli della sua gente, a rinfocolare i ricordi dell’infanzia: vedrete una gioia cristallina trasparire dai suoi occhi, il suo volto illuminarsi, ricomporsi d’incanto il figlio sempre innamorato della sua Terra.
La scelta, quindi, di assegnare “Il Frentano d’Oro”, per l’anno 2002, al Maestro Donato Renzetti si pone nello spirito più autentico del Premio, che vuole essere un amorevole riconoscimento ad una personalità della Frentania che ha portato alto nel mondo il nome della Terra di origine.
Il Premio, opera dello scultore Mario Ceroli, realiz­zato in oro dai Maestri orafi Ferrante di Castelfrentano, istituito nel 1998 dal Collegio dei Ragionieri di Lanciano, di cui è Presidente quel “vulcano” di idee che risponde al nome di Ennio De Benedictis, giunge alla sua quinta edizione.
Nell’ordine, prima del Maestro Donato Renzetti, l’hanno ricevuto lo stesso Scultore Mario Ceroli, l’Economista Marcello De Cecco, il Costi­tuzionalista Alessandro Pace, lo Scienziato dell’Informatica Guerrino De Luca. Verrebbe da dire, giù il cap­pello.
In questa pubblicazione, che ho avuto l’onore di curare, come le altre che hanno segnato le tappe del “Frentano d’Oro”, in molti diranno, con sapienza e autorevolezza, delle virtù musicali del M° Donato Renzetti.
Troverete anche alcune testimonianze, artico­li, ricordi e frammenti di vita. Il tutto in estrema sintesi, perché per raccontare Donato Renzetti ci vorrebbe un’intera enciclopedia.
Io vorrei solo ricordare una sera a cena con il Maestro, il presidente De Benedictis e qualche altro amico, il 5 luglio scorso (anno 2002, ndSG), per organizzare la cerimonia di premiazione.
Non era  la prima volta che incontravo Donato Ren­zetti: come cronista ne avevo più volte apprezzato la sincera disponibilità; come  appassionato, ma non studioso, di musica ne avevo sempre ammirato le grandi capacità professionali. Ma quella sera ho scoperto e conosciuto anche una persona amabile, cortese, giovia­le, pronta alla battuta.
Un uomo felice per un Premio, lui che ne ha ricevuti tanti e di massimo rilievo, che diceva di accogliere con grande commozione perché frutto della sua Frentania. Ho conosciuto un uomo umile nella genialità, un Maestro gentiluomo e galantuomo, oltre che bravissimo, come scrive il critico Piero Rattalino. Una persona capace di ridarti fiducia e spe­ranza, di riconciliarti con la vita, mentre attorno ti gira un mondo di vuote apparenze, di saltimbanchi e volta­ gabbana. Grazie, Maestro.

Il logo de “Il Frentano d’Oro”
Opera dello scultore Mario Cerali, l’Uomo Vitruviano, realizzata in oro dai maestri orafi
della “Ferrante Gioielliere” di Castel Frentano

Ennio De Benedictis Presidente Collegio Ragionieri di Lanciano,
Lanciano, 30 agosto 2002: IL FRENTANO D’ORO, Edizione 2002, Assegnato al Direttore d’Orchestra Maestro Donato Renzetti.
L’ineguagliabile curriculum artistico di Donato Renzetti ed il suo appassionato impegno in favore dei giovani musicisti, giustificano di per sé l’attribuzione del Frentano d’Oro ad un nome che come i suoi con­terranei premiati negli anni scorsi, ha onorato la sua Terra di origine, dando lustro alla Frentania.
Ma il premio a Donato Renzetti assume quest’an­no un significato del tutto particolare, perché egli esprime nella Musica la peculiarità forse più rilevan­te della cultura anche popolare della Frentania e in particolare delle tradizioni culturali lancianesi, testi­moniate soprattutto, ma non solo, dall’ormai celebre appuntamento annuale dell’Estate Musicale Frenta­na nel ricordo di un grande lancianese quale fu Fedele Fenaroli.

Testo integrale dell’articolo pubblicato da “PANORAMA” il 7 settembre 1991, a firma di Enzo Biagi.
UN COLPO DI BACCHETTA MAGICA.
Dicono: «Sarà il nuovo Muti», come il grande Ric­cardo, è il solo italiano che ha vinto il Premio Cantelli.

Ha trentunanni, e la faccia e i modi da ragazzino.
Suscita subito molta simpatia, perché senti che è auten­tico. E poi la sua è una storia virtuosa, e con lieto fine, di quelle che amano gli americani; ispira fiducia nella gente, un po’ di ottimismo.
Donato Renzetti è nato a Torino di Sangro, un paese degli Abruzzi, che ha una risorsa particolare: la banda. Novanta cittadini suona­no uno strumento, e anche Domenico, suo padre, che di mestiere faceva il sarto, marciava col tamburo.
Poi, un giorno, decise di emigrare a Milano: c’erano altri compaesani e si guadagnavano il pane. Non era un dilettante, e pensò subito alla Scala.
È, per tutti quelli che leggono uno spartito, un traguardo, o un sogno.
Ma c’era già un parente e due Renzetti parevano troppi: lo pregarono di aver pazienza. Trovò un posto nel com­plesso dei tranvieri, e nelle ore che gli rimanevano, per arrotondare, e per tirar su il bambino, cuciva pantaloni.
Sembra proprio un mite personaggio di Molnar, ma voleva che Donato studiasse: ginnasio, liceo, avvocato o dottore, mestieri seri.
Dopo un anno pensò di ritentare: non c’erano soldi, e per prepararsi, ritagliava, nei gior­nali, due timpani e lo xilofono era fatto di cartone; soltanto gli ultimi quattro giorni provò con quelli veri.
Il nome di Cantelli gioca nel destino di questa fami­glia del Sud: c’era proprio lui agli esami, il Maestro prodigio, ascoltò e disse:
«È bravo; che cosa avete aspettato?».
Donato a scuola, non gli dava però tante soddisfa­zioni: passava più serate sulle note che sui testi latini. E cominciarono le discussioni, poi la decisione: sta bene il Conservatorio.
Niente da fare coi testardi. Anche lui, si dedica alle percussioni, e sono scelte che lasciano un segno, o incoraggiano predilezioni: come il violoncello per Toscanini, o il pianoforte per Zecchi. Ritmo e com­posizioni moderne.
Ha 14 anni, quando entra nel golfo mistico del più severo teatro del mondo, come aggiunto, per comincia­re.
I «vecchi» lo guardano protettivi, e, sorridono. E il padre lo avverte:
«Da adesso in poi, sarà come se non ci conoscessimo. Devi arrangiarti; da me non avrai nien­te».
Ma il giovanottino ha due qualità: la tenacia e la modestia. «La sua forza» ha scritto Lorenzo Arruga «è la concretezza. Fra i direttori divetti come si usavano tempo fa e lui c’è la differenza che passa tra un arredatarino alla moda e un buon architetto».
Nelle ore di scuola studia composizione con Bruno Bettinelli, e Mario Gusella gli insegna come si fa a guidare 120 professori.

Donato Renzetti con la moglie Silvia Baleani, soprano, al Teatro alla Scala di Milano, nella rappresentazione del Manfred di Schumann, il 2 ottobre 1990.

Un bel giorno, taglia corto: «Quanto ne sapevi prima ne sai ora. Inutile continuare. Diventerai celebre, ma non avrò neppure la soddisfazione di dire che sei stato mio allievo».
Tutte le domeniche va a esercitarsi con un comples­so di appassionati, che porta il nome impegnativo di Claudio Monteverdi: ma un mattino, il musicista che li istruisce non arriva. Allora i compagni lo incitano:
«Provaci tu, che quando suoni i timpani hai sempre l’a­ria di uno che tiene in mano la bacchetta».
E così comincia l’avventura: vanno in giro a esibirsi nei mani­comi, negli ospizi, nelle prigioni. Si fa esperienza.
«Che emozione» ricorda «il tuo nome in rosso, e a caratteri che si vedono, nel cartellone».
Impara soprattutto osservando quello che accade attorno a lui: la psicologia, i pregi e le suscettibilità degli orchestrali, e di quelli che salgono sul podio.
Ecco Kleìber, «introverso, pazzo, magnifico»; i terribili occhi azzurri di Karajan, che soggiogano e ammoniscono; Zubin Mehfa «straordinariamente preciso, sfavillante»; Claudio Abbado che cerca sempre, e programma tutto, lo prende con sé, quando c’è da eseguire Gruppen di Stockhausen, come terzo direttore, e il debuttante, a un certo punto, risponde al suo protettore che lo critica:
«Tocca a lei dare l’attacco» e Abbado, corretto: «È vero. Scusami».
E poi Muti che lo manda a Verona a preparargli la Messa di Verdi, e lo ammonisce: « Il Cantelli può servi­re; ma se vuoi importi e avere il tuo ruolo nella vita, devi pensarci tu».
Si dà da fare, ma quando gli sottopongono proposte anche allettanti, e non si sente pronto, abbastanza maturo, rifiuta.
Anche se di denaro ne vede poco, ma non ha tanta importanza. Va a Siena, ai corsi di Franco Ferrara, talento magico condizionato dalla sfortuna, e Abbado e Grassi, con generosità, lo seguono e lo inco­raggiano, e così si presenta a un

Cordialità dal M° Claudio Abbado

concerto con Maurizio Pollini, in programma Schoenberg. E poi l’Histoire du soldat, alla Piccola Scala.
Vince, al concorso Marinuzzi, il diapason d’argento, e poi il «Respighi», e una meda­glia di bronzo a Ginevra: ma è il Cantelli che lo tenta. Sa però che, se fallisce, si è giocato tutto.

Ha fiducia in sé: già qualche critico lo ha notato.
Piero Buscaroli ha scritto, dopo averlo ascoltato in una situazione d’emergenza, che il suo Mozart è degno di Salisburgo e di Karajan; sua madre lo incoraggia: «Anche da piccolo, quando ti portavo in piazza a senti­re i suonatori, volevi afferrare l’asticciola abbandonata sul  leggio». 
Il professor Domenico, invece, è cauto: «Stai bene attento. Non sarebbe più sicuro restare in orchestra?».
Si porta dietro la paura di chi ha sempre cercato la sicurezza, uno stipendio anche modesto, ma su cui contare, piuttosto che il rischio. Ma lo segue anche nelle trasferte provinciali, silenzioso e discreto: è a Parma per le Nozze di Figaro, e aspetta in camerino. Sente il fragore degli applausi, ma resta ad aspettare.
Un cronista nota un anziano signore che mette a posto il frac del protagonista della serata, poi, dopo la recita, li vede uscire a braccetto, sotto la pioggia.
E viene il momento che conta, e il professor Dome­nico va in loggione per sentire i commenti, e Donato è teso: non è soddisfatto di come sono andate le prove. Ma sa che tutto può cambiare davanti al pubblico. Sale sulla pedana e fissa i suoi antichi compagni; sono gli amici che lo hanno visto crescere e gli vogliono bene. E loro, guardano lui, come quando lo videro arrivare coi calzoni corti; e sorridono ancora come per dirgli:
non ti fidi di noi? Dai, ora tocca a te; comanda.
Rac­conta Elsa Airoldi:
«Non ci pare di avere mai sentito quelli della Scala suonare così, con tanta generosità e passione».

Si capisce subito che è lui il primo, il più bravo, anche senza aspettare la giuria. Scrive Arruga sul Gior­no:
«Renzetti è un vero direttore».
E Courir, sul Corrie­re:
«Una chiarezza tecnica e una personalità ritmica in grado di manifestarsi con molta precisione».
Rodolfo Celletti, lo valuta all’Arena, dopo un Rigoletto:
«Questo giovane è un animatore, collega benissimo orchestra e palcoscenico, è tempestivo e chiaro nel gesto, conosce il fraseggio dei cantanti, dà l’impressione che nulla gli sfugga. Ottimo, insomma».
L’ho sentito anch’io, e l’ho visto al lavoro nell’immenso anfiteatro, forse un po’ intimidito dall’ambiente, dove tutto è colossale, dalla messinscena alle reazioni delle gradinate, e con quell’aspetto da adolescente, col golf di lana sulle spalle, perché arriva il vento del lago e fa rabbrividire, pareva quasi un abusivo, o un avventa­to, posto al centro dell’attenzione per uno scherzo.
Poi, alla prima, quando un riflettore lo ha seguito, lo ha accompagnato, nel silenzio e nel buio dell’attesa e si è voltato per ringraziare i ventimila spettatori che gli facevano festa, ho pensato a Torino di Sangro, in provincia di Chieti, dove c’è un «complesso musicale di 90 elementi» come dicono con orgoglio, e qualcuno di loro se ne va in giro per il mondo a far musica, e ha il nome scritto sempre più grosso sui manifesti.

Il M° Donato Renzetti, docente.

C’era ad aspettarlo, negli intervalli, per porgergli la camicia pulita, per detergergli il sudore, per fargli com­pagnia, una graziosa ragazza bionda, che canta da soprano: Silvia (diventerà la Signora Renzetti, n.d.S.G.). È nata in Argentina, si sono incontrati al Comunale di Bologna. «Fu una buona stagione» dice Donato Renzetti.
«Mi piace la famiglia. Sempre viag­giare, sempre in albergo. La sera, quando le recite sono finite, si spengono le luci, gli orchestrali vanno a casa, e tu resti solo. Io voglio avere una moglie, e portarmela dietro».
Poi aggiunge:
«Sono romantico ed emotivo. Brahms e Schubert mi incantano».
Chiesero a Toscanini quale dovesse essere la prima qualità di un direttore: «L’umiltà, l’umiltà» rispose.
Tec­nica, fantasia, intuito, genialità, ma mai troppa consi­derazione di sé. E
«la rivelazione» Renzetti ne è cosciente:
«Non ho fretta; sono tante le cose che debbo imparare. C’è un repertorio che non va soltanto analiz­zato, ma capito e vissuto».
E lui ha davanti a sé quella che il mio amico Raffaele Carrieri, un Poeta, considera la invidiabile felicità dei giovani: ancora tanti errori da compiere.

Donato Renzetti.
Un CD in omaggio di Mamma e Papà.
Caro De Benedictis, in occasione dei cinquant’anni di matrimonio dei mie genitori, ho realizzato questo CD come regalo di nozze. Ho pensato di donartelo sapendo della tua sensibilità e sicuro che sentirai le emozioni che queste musiche danno.
Mio padre è stato il primo della mia famiglia a scrive­re canzoni; io limitatamente, e mio cugino Maurizio Fabrizio professionalmente (ha scritto infatti alcune delle più belle canzoni degli ultimi vent’anni) abbiamo conti­nuato questa tradizione.
La musa ispiratrice e discreta è stata senza dubbio mia madre Anna, Annina e quindi “Nina” è infatti la prima canzone che sentirai. La seconda “Lia”, è la sorella di mio papà ed è cantata dal marito alla bella età di ottantacinque anni.
Come noterai le canzoni sono dedicate a numerose donne parenti ed amiche come “Candida” “Ada” “Lucia” “Angela” e “Teresina”.
Altro grande amore di mio padre è stato il suo paese “Torino di Sangro” tanto amato da noi  tutti. Le canzoni in dialetto abruzzese dimostrano l’affetto verso questa terra…
“Lu parentate” invece ricorda le riunioni di tutti iparenti soprattutto nelle feste e nei matrimoni. Due can­zoni sono particolari: “Razzo pioniere” e “La cosa”; la prima scritta negli anni sessanta che ricorda il primo razzo inviato dall’uomo nello spazio, la seconda è un pochettino osée, racconta di un certo Donato (non io) che dietro un frantoio incontra Lei che gli dà quella cosa… Il paese mormora ed immagina pensando che se la cosa data da lei è quella che credono loro anche loro… la vogliono.
 Nel disco ci sono anche due brani miei “Ricordo” e una versione strumentale di “Nina“.
Il CD si conclude con due canzoni tra le più emozionanti: “Cinquant’anni d’amore”, ultima canzone di papà scritta come regalo di nozze, e “Mamma” scritta dopo la guerra quando mio padre ritornando dopo ben sette anni di prigionia rimase impressionato nel rivedere mia mamma con tanti capelli bianchi.
La canzone per motivi lunghi a spiegarsi l’ho cantata io e pur non essendo un cantante trasmette l’emozioni da me provate.
Nel disco mi chiamo Denio che è il nome con cui sono chiamato al paese da sempre. Comunque tutto è spiegato nel libretto del disco e que­ste mie righe sono solo per far capire meglio le meravi­gliose melodie e la passione che tutti i miei allievi hanno profuso.

Piero Rattalino Direttore artistico Teatro Massimo Bellini di Catania.
Il Maestro Gentiluomo.
Donato Renzetti non solo è per me il musicista dotatissimo che ho conosciuto studente del Conservatorio di Milano quando vi insegnavo, non solo è il direttore che ho seguito nei suoi inizi e che poi ho invitato più volte nei teatri di cui ero Direttore artistico, non solo è il pro­fessionista che non cerca mai le occasioni per dimo­strare con le proverbiali sfuriate dei teatranti chi è che comanda ma che anzi, quando si presenterebbero effet­tivamente le occasioni per fare il sergente riesce invece con la calma o con qualche battuta tagliente a riporta­re pace, non solo è il magnifico compagno di tavola dopo gli spettacoli e il sapido narratore di aneddoti e inventore di calembours.
Per me è tutto ciò ed è qualcosa di più: è un amico, costante nell’amicizia.
Ed è un uomo di animo buono, sempre pronto ad aiutare chi è in difficoltà e a mettere una buona parola per chi ha sbagliato. Ed è la persona a cui, quando entra in teatro, tutti rivolgono un caldo sorriso, ricambiando il suo caldo sorriso – come dire? – patriarcale.
Di grandi artisti, di grandi professionisti, di grandi istrioni, in trent’anni che faccio teatro, ne ho conosciu­ti molti. Di gentiluomini e di galantuomini ne ho trova­ti pochi. E questi pochi sono anche magari… un po’ fessi, e non curano la carriera come, date le loro qua­lità, avrebbero il diritto di fare.
Donato ha fatto e fa una carriera molto ragguarde­vole. Ma non ha mai posato a domatore, non ha mai sbattuto le porte, non ha mai cercato di salvare se stesso lasciando gli altri nei guai.
E quando si sa che ha accettato l’invito del teatro per una produzione tutti dicono: “Bene!”.
In quelle due sillabe c’è la soddisfazione e c’è la stima della persona. Ed è quello che conta di più.

Walter Tortoreto Docente di “Storia della Musica” all’Università de L’Aquila, Direttore Artistico “Estate Musicale Frentana”
“Io la Musica son”.
La prima volta che vidi dirigere Donato Renzetti, ese­guiva con un gruppo della Scala L’Histoire du soldat di Igor Stravinskij. L’impressione fu indelebile perché il con­certo mi rivelò tutto ciò che di teso, di nobile o di squalli­do e triviale l’Autore ha messo nella sua partitura; una pagina ardua, scabra, dura da penetrare come la roccia.
Ricordo tuttora che, trasportato dal racconto sonoro che Renzetti sviluppava come una fiaba piena di brividi rac­contata d’inverno accanto al caminetto, vedevo il diavolo turista a caccia di farfalle, e poi lo riconoscevo nelle sue effimere apparizioni come mercante di bestiame, vecchio ipocrita o elegante violinista, animale dai piedi equini o, infine, simile al pifferaio della nota leggenda che, però, si trascina dietro il povero, derelitto soldato.

Un cordiale saluto dall’Amico Dario Fo.

L’ascolto di quel lavoro fu per me memorabile per­ché destava il mio sguardo interiore orientandolo sulla narrazione musicale; e lo snodarsi delle avventure psiologiche evocate dalla musica s’inerpicava senza sfor­zo verso una dimensione epica grazie al rilievo dato a quel particolare politonalismo scarno e angoloso, che nella interpretazione di Donato aveva una stupefacente densità (densità dei tempi rilassati o serrati e densità degli avvenimenti dell’opera, furiosi o momentaneamente felici), ma conservava anche una straordinaria duttilità ritmica: e ciò permetteva al direttore di dipa­nare (e al pubblico di comprendere) il proliferare del racconto e, di conseguenza, favoriva la percezione dei piani narrativi, un effetto percettivo che – com’è noto ai tecnici – è difficilissimo da ottenere nella musica stru­mentale.
Non è agevole raccontare in musica, come sanno anche i maggiori direttori e come sa (a suo danno) il pubblico, troppo spesso punito da esecuzioni grigie e prive d’ogni avventura.
Donato Renzetti conosce i segreti del racconto musicale, un’arte posseduta per nativo talento ma anche imparata con la disciplina di studio dopo aver ascoltato le leggende dei nostri nonni e le musiche con le quali suo padre e i suoi zii lo hanno nutrito assieme al pane e latte o al pane con l’olio spal­mato del pomodoro fresco dei nostri orti.
In seguito ho conosciuto meglio questo grandissimo Artista. Sono andato spesso a vedere le sue opere (l’ulti­ma volta al Teatro dell’Opera di Roma dov’era impegnato in Un ballo in maschera) e ho sempre ammirato e goduto un Teatro in musica di altissima qualità, con personaggi verosimili, un tessuto orchestrale vivo e respirante, scelte accuratissime e seducenti.
Ho ascol­tato tanti suoi concerti, sempre con emozione. Ho anche avuto la fortuna e la felicità di collaborare con lui, per la produzione di concerti nei Corsi Internazio­nali di Lanciano e con l’Orchestra Giovanile Abruzzese: ho visto quindi da vicino, anzi dall’interno, come egli concerta. Posso dire, perciò, che sono stato ammesso nel suo laboratorio segreto, nell’officina dove si conser­vano, sempre lucidati e pronti all’uso, attrezzi e sapien­za.
Così ho capito che Donato è la musica.
Proprio come si canta nel prologo dell’Orfeo di Striggio-Monteverdi:
“Io la Musica son ch’ai dolci accenti
so far tranquillo ogni turbato core;
ed or di nobil ira ed or d’amore
posso infiammar le più gelate menti”.
I grandi pensatori del passato ci insegnano che chi sa farsi capire dagli ignoranti è certamente un grande filo­sofo. Purtroppo, la cultura musicale del nostro Paese è insufficiente e perciò siamo in molti a conoscere poco, troppo poco o perfino nulla, della Musica definita dotta.
Anche tra i Musicisti professionisti, spesso la cultura è approssimativa.
Donato è tra i pochi “addetti ai lavori” che si preoccupa di questa condizione della musica nella società e che opera per sanare questa ferita. Perciò si fa capire da tutti.
L’ho visto impegnato spesso con i giovani e ho ammirato la sua generosità, la chiarezza didattica, la concisione che è frutto di naturale intuito pedagogico: egli coglie sempre l’essenziale, con invidiabile sicurezza, e riesce a trasformare il suono organizzato in perfezione musicale. Nei movimenti lunghi o problematici, nei pas­saggi incandescenti, nei lampi d’improvvisa e icastica evidenza, egli sa come tradurre in pienezza strumentale il suono trattenuto, sa come purificare la profusione di suono per attingerne l’essenza, sa cogliere quelle segrete, complici strizzatine d’occhio che il compositore ogni tanto inserisce nella partitura non per il pubblico, e nemmeno per gli esecutori, ma per il solo direttore, per carpirne la piena solidarietà artistica e per ammetterlo al banchetto creativo come coautore.
Con il tempo mi si è chiarito dentro il groviglio d’im­pressioni che tanti anni or sono mi avevano colpito al Palazzetto dello Sport de L’Aquila, dov’ero stato conqui­stato dallo squallore desolato e dalla nobiltà artistica dell’antica fiaba russa musicata da Stravinskij e diretta magistralmente dal giovane musicista abruzzese, già famoso ma che non conoscevo di persona.
E ho capito che tra le numerose qualità del Direttore, dotato d’inna­to talento ma anche nutrito di studi serissimi e forte di una lunga, seria, multiforme esperienza, qualità che gli hanno permesso di raccogliere premi e riconosci­menti prestigiosi davvero in tutto il mondo, alcune qualità hanno un valore singolare e sono in larga misura il segreto del suo successo.

Prove di direzione d’orchestra del M° Renzetti.

Anzitutto egli sa dare alle sue esecuzioni un carattere di novità, come se i lavori che dirige li ascoltassimo per la prima volta e ne scoprissimo, toccati nel profondo e meravigliati, le intenzioni più riposte dell’Autore. È quella sintonia con l’autore alla quale può poi legarsi l’autonomia interpretativa.
Inoltre Donato è assolutamente e sorprendentemen­te spontaneo, quasi naturale, al punto che sembra improvvisare sul podio. Ciò crea un legame immediato con il pubblico e grande entusiasmo perché fa vivere (e ricrea!) con una freschezza insolita l’opera musicale, le emozioni artistiche destate dalla musica.
La familiarità che egli ha con le opere interpretate (una familiarità conquistata con lo studio disciplinato guidato dall’in­tuito artistico!), la trasmette al pubblico anche nelle condizioni esecutive più avverse.
Che cosa è questa familiarità?
È il rapporto amoroso con la musica, un corteggiamento che Donato rinnova a ogni esecuzione e che s’irraggia sul pubblico come una luce piena di calore.
Infine è di suprema efficacia una chiarezza musicale cui corrisponde l’esemplare chiarezza della bacchetta, davvero un piccolo, miracoloso raggio di luce.
Egli infatti dirige in un modo che definirei cartesiano, e che tuttavia riesce a trasmettere anche le emozioni più impetuose. Alla chiarezza del gesto, quindi, s’accompa­gna il corteo sentimentale e psicologico delle situazioni musicali più ricche.
Questo è il Donato Renzetti che ho imparato a cono­scere e amare, il Musicista che riesce a far brillare le opere concertate e dirette di una luce così viva da farci credere che esse stiano nascendo in quel momento, con un miracolo collettivo al quale tutti (pubblico e inter­preti) partecipano con la trepidazione e l’entusiasmo che può donare l’opera d’arte allorché si danno appun­tamento attorno ad essa gli elementi della concertazio­ne, numerosi, laboriosi, differenziati.
Donato ha imparato a radunarli e a padroneggiarli con sicurezza anche nelle condizioni più complesse e difficili, per farli convivere armoniosamente e indirizzarli all’efficacia interpretativa. Per questo la sua bacchetta è sapiente ed è magica (nel senso che egli la usa come un mago).
Che questo grande Artista sia abruzzese è per me, che amo la mia Regione e amo la Musica, una ragione in più di orgoglio. Credo proprio legittimo.

Bernardo Razzotti Professore di Filosofia Morale all’Università di Chieti.
Omaggio al Maestro Donato Renzetti: Il mito di Don Giovanni.
Quello di Don Giovanni è il personaggio che nei secoli ha esercitato il suo fascino sulla fantasia degli artisti e delle folle al punto da sconfinare dal regno della letteratura per invadere quello della musica.
Leg­gevo qualche tempo addietro che sub voce «Don Gio­vanni», a cura dell’americano Armand Edwars Singer, si registrano ben 4.303 titoli (lo studio è del 1954 … ). Dunque, il personaggio fantasioso di Tirso da Molina, costruito in epoca barocca, ha avuto non solo una discendenza feconda, ma ha anche conosciuto tonalità psicologiche che vanno dal coraggio virile alla ricerca di continue nuove avventure, fino a toccare il cinico erotismo.
All’origine delle infinite avventure che con­traddistinguono il personaggio starebbe non tanto l’inarrestabile energia e il vagheggiamento dell’avventura come sfogo dell’ideale cavalleresco, ma il rifiuto della responsabilità morale; come dire:
un affidarsi al flusso della vita al posto della determinazione orgogliosa di esso, una incapacità o, se si vuole, una rinuncia a com­piere una scelta.
Questa potrebbe essere una interpre­tazione filosofica la quale trova la sua motivazione in un’analisi che costituisce la sua specificità di «instan­cabile avventuriero».
Si legge: cos’è il piacere se non il godimento completo di un atto, di una sensazione, senza l’intervento di alcuna preoccupazione per ciò che quell’atto, quella sensazione potrebbe cagionare in un secondo momento?
Per Faust la felicità consiste nell’at­timo dinanzi al quale egli griderà:
«Fermati, sei bello!».
Per Don Giovanni, uomo istintivo, passionale e non intellettuale, la felicità è solo piacere, e quindi una interminabile serie di attimi, completi in se stessi e indipendenti l’uno dall’altro.
J. Zorilla nel suo dramma Don Juan Tenorio con argu­zia sintetizza la filosofia di Don Giovanni quando dichiara:
«Dividete i giorni dell’anno
fra quelle che qui trovate.
Uno per innamorarle,
un  altro per ottenerle,
un altro per abbandonarle,
due per sostituirle
e un’o­ra per dimenticarle».
Sarei tentato di leggere quanto sopra scritto come il potersi innamorare contempora­neamente di molte donne giacché si può essere innamo­rati in modo diverso di ognuna di esse. Amarne una sola è troppo poco, amarle tutte sarebbe superficialità! C’è però un impedimento a questa lettura: il seduttore non è un intellettuale ma un uomo d’azione che si attende il piacere solo dai suoi atti.
Ed essendo per lui la donna solamente sesso, è condannato ad innamorarsi senza essere capace di amare.
Dei quattro tipi di amore cata­logati da Stendhal (amore-passione, amore-capriccio, amore-fisico, amore di vanità) a quale partecipa il nostro? Io credo solo agli ultimi due e, di conseguenza, sfiora il demoniaco.
Aldilà della sensualità, dell’appetito concupiscente, del gusto della beffa, si afferma il desi­derio di dannare, di macchiare, di svilire, di perdere, di disonorare la donna.
Mi pare che lo studioso Torrence Ballester affermi che la donna per Don Giovanni è lo strumento della sua inimicizia con Dio!
Il grande G. Mecchia sostiene che Don Giovanni sia decaduto sino a livello di ridicolizzazione rappresentan­do una società fuori dal tempo, mentre un altro studio­so, G. Moranon, afferma il suo anacronismo per il fatto che oggi l’amore non si conquista ma si regala o si compera. Hanno ragione entrambi anche se personalmente ritengo che la decadenza del personaggio sia comincia­ta allorché da personalità individuale si è trasformata  in carattere, tipo, cioè subito dopo la nascita del mito e si è lentamente deteriorato mano a mano che l’appellativo «dongiovanni» ha cominciato a designare una caratterizzazione sempre più banale e tapina.
Perso­naggio a suo agio nel contrasto della Spagna seicentesca la quale viveva tra lo spirito barocco e quello con­troriformistico, razionalizzato da Molière, che nel secolo dei lumi si intellettualizzerà sino a divenire una sorta di pedagogo della seduzione.
Sarà il romanticismo a idealizzarlo con l’accostamento a Faust mutandolo in un inquieto e melanconico eroe in continua ricerca dell’assoluto sub specie della donna ideale. Don Giovanni non è stato risparmiato dalla demitizzazione che ha colpito tutti i domìni della cultura e della civiltà moderna: è stato ucciso dalla evoluzione della donna, dalla radicale trasformazione del concetto di onore, dal venir meno della legittimazione dell’orgo­glio mascolino di giocare nel rapporto amoroso un ruolo favorevole. Come dire: anche Don Giovanni è stato coinvolto nella crisi dell’eroe del romanzo con­temporaneo, che con Proust e Joyce (e per certi aspetti, Kafka e Musi!) ha visto assurgere a protagonista l’uomo senza qualità. La sua stagione è tramontata anche se il suo nome episodicamente riemerge.
Noi viviamo in un’epoca antieroica che nulla concede ai revival trascu­rabili, caricaturali.

Sono Cotani Emilio, classe 1915, ho cantato come “Primo Tenore” nel Coro del Teatro dell’Opera di Roma, guidato all’inizio dal Maestro Giuseppe Conca, dal 1945 al 1977.
Ricordi di Artista.
Sono stato diretto da Maestri come Marinuzzi, Sera­fin, De Sabata, Ghione, Gui, Failoni, Bellezza, Von Karajan, Bemstain, Mitropulos, Gavazzeni, Molinari Pradelli, Maazel, ed altri che ricordo con commozione.
Nel 1977, anno del mio ritiro dalla scene, si afferma­rono nuovi talenti nella direzione orchestrale, ed uno di questi era Donato Renzetti.
Vivo a Lanciano da circa vent’anni, e con entusiasmo e gratitudine, ho raccolto l’invito del Rag. De Benedic­tis di testimoniare la figura del Maestro abruzzese. Ho avuto la fortuna di seguire alcune rappresenta­zioni operistiche che lo hanno visto protagonista asso­luto: Arena di Verona 1981 “Rigoletto”; Pesaro, Teatro Rossini 1981, “Italiana in Algeri”; Roma, Teatro dell’O­pera 1989 “Le nozze di Figaro”.
Mi impressionarono il rigore interpretativo, la fede­le lettura della partitura, la perfezione stilistica e l’au­torevole gestione orchestrale.
Oggi mi sento più giovane.

Maria Rosaria La Morgia Giornalista da “Illustrazione Abruzzese” settembre-ottobre 1984.
Direttore si nasce.
Il Teatro Excelsior di Lanciano si riempie talmente di pubblico quando suona l’Orchestra Sinfonica Giovani­le dei Corsi Estivi che molti preferiscono sedersi ed ascoltare la musica dal muretto esterno vicino agli ingressi laterali.
Quest’anno, poi, la gente si è accalcata ancora di più, oltre che per apprezzare i giovani musicisti, per applaudire un Maestro ormai entrato a far parte della rosa dei grandi: Donato Renzetti.
Era appena arrivato a Lanciano da Spoleto, dove aveva chiuso il Festival dei Due Mondi dirigendo il mitico Concerto in Piazza.
La sua storia comincia non lontano da Lancia­no: a Torino di Sangro, dove è nato 34 anni fa in una vecchia casa di paese lungo una stradina che porta in piazza.
Sul portone d’entrata un pentagramma con due note: do-re. Come le iniziali di Donato Renzetti ma anche di Domenico Renzetti, il padre.
I Renzetti parti­rono da qui per Milano, anzi per la Scala.
Tra le fila dell’Orchestra del mitico Teatro italiano suonarono prima Domenico e poi il giovanissimo Donato, aggiunto di percussione a 14 anni.
Ma il pallino di Donato era un altro:
«volevo fare il direttore d’orchestra fin da picco­lo e ho insistito talmente tanto che mi sono iscritto al Conservatorio. Letteralmente da solo, perché mio padre e mia madre me l’avevano proibito. Volevano che io cambiassi la strada della nostra famiglia».
Papà e mamma avrebbero voluto un figlio medico o avvocato. Una carriera tranquilla insomma, ma Donato sfugge al loro controllo!
«Allora a Milano vi erano molte orche­stre di dilettanti ed io suonavo i timpani in una di que­ste. Un bel dì il maestro non venne ed io…  passai dal­l’altra parte, al suo posto. Avevo 17 anni».
Renzetti parla quasi con commozione di quel periodo: i primi concerti, il nome scritto sui dépliants, gli amici di allora.
«Mi scrivono di tanto in tanto ed io sono emoziona­to ogni volta che leggo le loro lettere».
Da allora di stra­da ne ha fatta tanta. Dopo gli studi a Milano con il Maestro Cusella, fece, nel 1975 il primo concorso: il Marinuzzi di Sanremo. Si classifica al primo posto ed è il primo italiano a vincere il diapason d’argento.
L’anno dopo, sempre a Sanremo, è secondo. Conosce il Maestro Ferrara e va a Siena. Vince il Respighi, ma il suo obiettivo è un altro: è il premio Cantelli.
«Ormai dirigevo già e Claudio Abbado mi aveva voluto alla Scala però il Cantelli per me era un fatto importante: era la chiave per entrare nelle stagioni uffi­ciali».
E riesce a vincerlo nel 1980: dirige il concerto per orchestra di Bartok e i più grandi Musicologi italiani cominciano a pensare che è nato un altro grande. Abbado e Muti se la vedranno con un rivale pericoloso!
Da lì comincia una carriera folgorante. 
«Fin troppo! – esclama sorridendo – non so quale concerto ricor­dare…1981: l’inaugurazione dell’Arena di Verona con il Rigoletto.
1982: il debutto negli Stati Uniti, alla Carna­gie Hall con Marilyn Horne ne La donna del lago di Ros­sini.
Quest’anno l’Opera di Parigi e poi Spoleto ».
Renzetti, ormai, vola da un punto all’altro del mondo.
«Ci trovammo a Fermo ed io, alla prima prova, avevo molta più paura dei ragazzi. Non sapevo cosa dire e sentivo che loro si aspettavano da me non un direttore d’orchestra, ma un maestro, un insegnante paziente. Fu un’esperienza indimenticabile perché l’entusiasmo che danno i giovani non lo danno i professionisti maturi».
Esperienza entusiasmante tanto che Donato Renzetti l’ha continuata e anche quest’anno girerà l’Italia con la Jeunesse.
«Lavorare con i giovani significa immergersi completamente nella musica, perché loro danno tutto senza problemi di orari. Stanno davanti al direttore assetati di musica… Non è sempre facile, perché biso­gna essere disponibili al massimo ed in egual misura con tutti: guai a fare un complimento ad uno e non agli altri! È, dunque, anche una questione di abilità psicologica: per esempio riuscire a correggere senza urtare la suscettibilità. È importante anche il rapporto al di fuori dell’orchestra, in tournèe io sto sempre con loro, anche in albergo: si sta insieme, si scherza, si chiacchiera e si fa musica». Donato Renzetti non è un divo della bac­chetta, non è il simbolo intoccabile di un mondo magico quale è quello della musica.
L’ho visto stare con i ragazzi dei Corsi di Lanciano con molta semplicità e franchezza. Risponde sorridendo alla giovane violinista che gli si avvicina emozionata. Spiega con pazienza. Richiama con severità.
Sa farsi voler bene.
«Questi giovani sono importantissimi per il futuro delle nostre orchestre. In Italia per cinque, sei anni non c’è stato ricambio tra vecchie e nuove leve e le nostre orchestre si sono trovate sovente in situazioni tutt’altro che otti­mali. Oggi c’è un’inversione di tendenza: i ragazzi stan­no crescendo musicalmente e in Italia abbiamo soprat­tutto violinisti molto bravi. Peccato però che pochi vogliano suonare in orchestra. Il fatto è che gli orche­strali nel nostro Paese sono pagati molto male e quindi molti giovani preferiscono formare piccoli gruppi: quartetti, quintetti, e fare concerti.. ».
Lui, comunque, insiste nel lavorare per conquistarli alla magia della musica e ancor più al fascino di un’esecuzione orchestrale.

La gratitudine in un messaggio di Andrea Bocelli.

Elisabetta Gaeta da “Il Corso di Lanciano” – 20 aprile 2002.
Quando la Musica é anche Poesia.
A rendere grande Lanciano oggi come nel passato sarà ancora una volta la Musica.
No, non si tratta del­l’Estate Musicale Frentana, ma di uno dei suoi protago­nisti. Nome fra i più insigni nel panorama concertisti­co nazionale ed internazionale, Donato Renzetti che è stato anche Direttore dei “Corsi Musicali Estivi”, è il candidato prescelto dal Collegio locale dei Ragionieri Commercialisti per ricevere il Frentano d’Oro 2002.
Il premio, che ad agosto giungerà alla V edizione, dedica­to ai figli più eccelsi della Frentania, emeriti per aver dato lustro alla loro Terra d’origine, questa volta andrà ad uno dei Musicisti e Direttori d’Orchestra più apprez­zati del momento.
Renzetti nasce a Torino di Sangro e dopo aver stu­diato composizione e Direzione d’Orchestra al “Conser­vatorio Giuseppe Verdi” di Milano, riceve subito con­sensi ed apprezzamenti sia dal pubblico che dalla criti­ca.
Da allora la sua carriera artistica non ha più soste. Ottiene numerosi successi e vince altrettanti premi in molti Concorsi Internazionali.
Nel 1975 partecipa al “Diapason d’Argento”, nel 1976 al I e II Concorso “G. Marinuzzi” di San Remo e sempre nello stesso anno al premio “Ottorino Respighi” della Fondazione Cirri di Venezia, nel 1980 vince il X concorso “Guido Cantelli” del Teatro alla Scala di Milano.
All’attività sinfonica alterna produzioni d’opera lirica e registrazioni disco­grafiche, collaborando con le orchestre più importanti e prestigiose del mondo dalla Philarmonic di Londra alla Filarmonica di Tokyo, Budapest, Buenos Aires (solo volendone  menzionare alcune) fino ad arrivare alla Rai di Milano e all’Orchestra della Scala.
In campo operi­stico è stato il primo Direttore a dirigere, a Luxor, in Egitto, “Aida” oltre a vantare numerose inaugurazioni in molti teatri italiani: all’Arena di Verona con “Rigolet­to”, al Teatro Comunale di Firenze con “Duca d’Alba”, al Festival Rossiniano di Pesaro con L’Italiana in Algeri” al Teatro Regio di Parma con “Jerusalem” e “Aida,” a Macerata con “Il Barbiere di Siviglia”, “Faust” e “Turandot”. All’estero le sue presenze si registrano all’Opéra di Parigi al Metropolitan di New York, all’Opera di San Francisco.
Dal 1982 al 1987 è Direttore dell’Orchestra Internazionale d’Italia”; in quest’ultimo anno è anche Docente di Direzione orchestrale per il perfezionamento, alla Accademia Musicale pescarese.
Sempre a partire dal 1987 fino al 1992 dirige l’Orchestra della Toscana, dal 1993 al 2001 quella di Bergamo.
Alla sua intensa carriera di questi ultimi anni affianca l’incisione di molti CD per famose Case di registrazione come la Fonit Cetra e la Philips.
La speranza è che la scelta di premiare il Maestro Donato Renzetti sia di auspicio affinché la giovane iniziativa del Frentano d’Oro, continui a sopravvivere nel tempo come le note di un’antica melodia, di cui si conserva intatto nella memoria il ricordo.
La Frentania ha bisogno di celebra­re i suoi figli, perché questi sono il nettare di un fiore che non può appassire.

Gianfranco Miscia Musicologo.
Grazie Maestro.
Il mio primo incontro col Maestro credo si debba far risalire al 1991 quando lo intervistai nel complesso delle Torri Montanare. Dovevo infatti preparare un articolo (il primo della mia vita) che poi sarebbe apparso, grazie anche alla collaborazione dell’allora addetto stampa Corrado Demofonti, su un periodico regionale. In quell’occasione Donato Renzetti disse tra l’altro una cosa che mi rimase nella memoria:
“Lanciano ha bisogno di un gruppo di giovani che sostengano e rafforzino la vocazione musicale della città”.
Per giovani egli si riferi­va, credo, non solo e non tanto ai Musicisti che certa­mente erano presenti nelle file dell’orchestra, ma più complessivamente ad uno staff di persone che avrebbe­ro potuto “governare” il futuro musicale del capoluogo frentano. In quelle parole, sembrava emergere un dina­mismo ed un convincimento di chi, giovane Direttore, aveva vissuto l’esperienza galvanizzante di potersi espri­mere in un ambiente altamente professionale ma allo stesso tempo aperto alle nuove leve che contribuivano a costruire, guidati dai Maestri, un’esperienza collettiva realmente europea, anticipando quella dimensione globale che solo oggi percepiamo nettamente.
D’altra parte Donato Renzetti poteva parlare in quel modo poiché pur giovane e promettente direttore (direttore a Lanciano dell’Orchestra Sinfonica Interna­zionale Giovanile nel 1990) aveva già ottenuto impor­tanti risultati professionali:
Premio Internazionale “Marinuzzi” a Sanremo col “Diapason d’argento” nel 1975, 1976;
Premio “Ottorino Respighi” della Fonda­zione Cirri a Siena;
medaglia di bronzo nel 1978 al Con­corso Internazioriale “Ernest Ansermet” di Ginevra e,
nel 1980, vincitore assoluto della decima edizione del Concorso Internazionale “Guido Cantelli” che lo aveva definitivamente consacrato nel firmamento delle “bac­hette” italiane).
Egli aveva il vantaggio di partire da una scuola di vita e di arte che affondava le sue radici nella famiglia e nel contesto musicale di una cittadina di grandi tradizioni come Torino di Sangro.
Certamente non secondarie saranno state nella sua formazione le molteplici suggestioni musicali sia che provenissero dalla tradizione delle bande, sia che traes­sero linfa dall’amore per la vocalità mediato della grande tradizione operistica e dall’altrettanto fondamentale genere della musica d’autore su testo dialettale che ha costituito, fino almeno agli anni Cinquanta, quello che potremmo definire il mainstream della canzone abruz­zese.
Il tutto naturalmente arricchito dalla musica colta occidentale maturata a partire dal periodo di studi, par­ticolarmente per quello che riguarda la composizione e direzione, al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano e completata da una straordinaria esperienza nazionale ed internazionale alla guida delle più prestigiose orchestre, specie per quello che riguarda la produzione operistica. Questa grande abilità, ovvero quella di far proprie e sintetizzare il background familiare, regionale, nazio­nale ed internazionale fanno di Donato Renzetti un degnissimo rappresentante di una tipologia di abruzze­se che francamente apprezziamo molto: l’uomo forse dai tratti caratteriali non sempre ammiccanti e per certi versi spigolosi, fortemente motivato ad andare avanti ma assolutamente aperto al nuovo.
In altri ter­mini l’antitesi di ciò che normalmente definiamo provinciale.
Ecco quindi che in quelle parole da lui pronunciate nell’estate 1991 vi erano già i segni del suo modo di essere. Approccio che probabilmente egli rico­nosceva in qualche maniera alla stessa realtà dei Corsi Estivi che sin dall’inizio avevano avuto il duplice carat­tere di essere aperto ai giovani ed internazionale.
D’altra parte la gloriosa storia musicale della città di Lanciano non è solo un ricordo nostalgico dei grandi Musicisti del passato; di Fenaroli o di Francesco Masciangelo e della “sua” famosa cappella musicale della Santa Casa del Ponte.
E’ un fatto che si sostanzia attraverso la presenza di uomini ed istituzioni che a quella storia hanno dato un reale contributo.
Bastereb­be citare, per il solo Novecento, i nomi di Augusto e Nicola Centofanti, Guglielmo Polzinetti, che addirittu­ra nel 1949 aveva creato la prima Scuola Musicale della città sotto gli auspici della Pro Lanciano, Manlio La Morgia che aveva fondato nel 1959 il “Cenacolo Musi­cale Fedele Fenaroli”, di cui fu presidente e direttore artistico ininterrottamente fino ali’anno della morte (1964), Luigi Torrebruna (e col grande timpanista Donato Renzetti ha più di un legame), Domenico Ceccarossi, Ugo Di Santo e moltissimi altri, fino a com­prendere padre Octavio Michel Corona da tempo ritor­nato in Messico.
Tutti questi uomini hanno in comune il fatto di essere vissuti in provincia ma poi di essersi formati alle grandi Scuole nazionali e di avere sempre avuto costanti collegamenti con quanto si andava facendo fuori delle mura cittadine.
Ciò spiega la ragio­ne del loro successo.
A questa schiera di uomini appartiene anche Donato Renzetti. che peraltro completa il quadro poiché mancava un valente Direttore d’Orchestra.
Attribuirgli un premio è quindi più che giustificato ma forse più che far piace­re a lui fa piacere a noi perché ci ricorda una lezione di cui, credo, abbiamo sempre bisogno.
Un’altra volta ancora, forse suo malgrado, il valente Direttore riesce a farsi Maestro, termine oramai desue­to che solo nel mondo dell’Arte mantiene il suo inalte­rato valore.

CURRICULUM VITAE.
Donato Renzetti è nato a Torino di Sangro, in pro­vincia di Chieti il 30 gennaio 1950. Dopo avere studiato composizione e Direzione d’Orchestra al “Conservatorio G. Verdi” di Milano, viene subito apprezzato dal pubblico e dalla critica, per i successi ottenuti con la vittoria di numerosi Premi in importanti Concorsi Internazionali.
1975: Diapason d’Argento
1976, 1° e 2° Concorso “G. Marinuzzi” di S. Remo
1976, Premio “Ottorino Respighi della Fondazione Cini di Venezia
1980, Vincitore del 10° concorso “Guido Cantelli” del Teatro alla Scala di Milano.
Da allora la sua carriera non ha avuto soste, alter­nando l’attività sinfonica con produzioni d’Opera Liri­ca e registrazioni discografiche.
Fra le più importanti Orchestre con cui ha  collabo­rato vi sono: Le Philarmonic di Londra,  La Philarmonie di Londra, L’Englisch Chamber Orchestra, La R.I.A.S. di Berlino, L’Orchestra di Stato Ungherese, La Filarmonica di Budapest, La Filarmonica di Buenos Aires, La Filar­monica di Tokyo, L’American Sympony, La Dallas Symphony, L’Orchestra della Scala, L’Accademia di Santa Ceci­lia di Roma, La RAi di Milano, La RAi di Torino, La RAI di Roma, L’Orchestra “A. Scarlatti” di Napoli.
Nel campo operistico vanta numerose inaugurazio­ni in molti Teatri:
all’Arena di Verona con “Rigoletto”, al Teatro Comunale di Firenze con “Duca d’Alba”, al Festival Rossiniano di Pesaro con “L’Italiana in Algeri”, al Teatro Regio di Parma con “Jerusalem” e “Aida”, a Macerata con “Lucia di Lammermoor”, “Il Barbiere di Siviglia”, “Turandot”, “Faust”, “Falstaff’, “Otello” e Sathiricon di Madena.
È stato il primo Direttore a dirigere in Egitto a Luxor per la prima volta “Aida”.
Numerose le sue presenze nei principali teatri di tutto il mondo: “Opèra” di Parigi, “Covent Garden” di Londra, “Gran Théatre” di Ginevra, “Staatsoper di Monaco”, “Carnegie Hall” New York, “Metropolitan” New York, “Lyric Opera” di Chicago, “Opera di Dallas”, “Michigan Opera” di Detroit, “Opera” di San Francisco, “Colon” di Buenos Aires, “Capitole” di Toulouse; “Opéra” di Lyon, Festival di Glindeboume, Festival di Tokyo e in tutti i più impor­tanti Teatri italiani.
Dal 1982 al 1987 è stato Direttore Principale della “Orchestra Internazionale d’Italia” con la quale ha inci­so due CD con musiche di Mozart e Tchaikocvsky.
Dal 1987 al 1992, Direttore Principale dell’Orchestra della Toscana con la quale ha inciso due CD con rare musiche di Cherubini e Schubert.
Dal 1993 al 2001 Direttore Principale dell’Orchestra Stabile di Bergamo con la quale ha inciso un CD di rare musiche di Simon Mayr: Il disco “Manfred” di Robert Schumann, registrato con l’Orchestra e il Coro del Tea­tro alla Scala, voce recitante: Carmelo Bene.
Ha vinto il XIX Premio della Critica Discografica Italiana.
Dal 1987 è docente di Direzione Orchestrale per il perfezionamento all’Accademia Musicale Pescarese.
È stato Direttore artistico dei “Corsi Musicali Estivi” di Lanciano, del Teatro Comunale di Treviso e del Mace­rata Opera Festival.
Ha registrato per la Frequenz, La Fonit-Cetra, La Nuova Era, la Philips, la Dynamic.
La sua biografia è stata inserita nella Prima Edizione sui Musicisti più importanti del mondo edita da International Biographical Centre – Cambridge, England.

Lucio Trojano, futuro premiato del 2008, interpreta il M° Donato Renzetti